Apollonio Rodio, 295 a.C. - 215 a.C.

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MAguSS
view post Posted on 12/8/2005, 13:42




LA VITA (295 a.c. - 215 a.c.)

Nacque ad Alessandria d'Egitto, figlio di Sileo (o Illeo) e di Rode. Acquisì nel suo nome il termine Rodio, in quanto trascorse gli ultimi anni della sua vita a Rodi e quasi certamente ne assunse la cittadinanza.
Compì i suoi studi ad Alessandria e fu discepolo di Callimaco e compagno di studi Eratostene.
All'età di circa 30 anni fu nominato bibliotecario della Biblioteca di Alessandria da re Tolomeo II Filadelfo, succedendo a Zenodoto.
Contemporaneamente ebbe l'incarico dell'educazione del figlio di Tolomeo, il futuro Tolomeo III Evèrgete.
Fu autore dell'epopea greca che narra il viaggio di Giasone e della sua nave "Argo", "Le Argonautiche".
Irato a causa della scarsa considerazione che i suoi concittadini diedero all'opera, si trasferì a Rodi, dove visse fino alla sua morte.
A questo suo trasferimento, non furono estranee la sopraggiunta inimicizia con Callimico, la rivalità con Eratostene e la scarsa simpatia con Berenice (moglie di Tolomeo Evérgete).
Durante il soggiorno a Rodi, è possibile che Apollonio abbia scritto una seconda edizione de "Le Argonautiche".
La celebrità di Apollonio non è dovuta soltanto a quest'opera, ma anche alla famosa e violentissima polemica letteraria che ebbe, fra il 246 a.C e il 240 a.C. con il suo maestro Callimaco. Callimaco affermò che l'unico requisito della poesia era l'essenzialità lirica e per questo condannò tutta l'epica antica per la sua incapacità di mantenere una continuità di tono e di ispirazione.
Queste, e altre affermazioni non meno rivoluzionarie, scatenarono lo sdegno di Apollonio, che aveva consacrato tutta la sua vita di erudito e tutta la sua arte al tentativo di rinnovare i fasti della poesia omerica
Dalla parte di Apollonio si schierano altri poeti famosi, come Asclepiade e Posidippo, ed eruditi come Prassifane di Mitilene.
 
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MAguSS
view post Posted on 12/8/2005, 13:53




LE ARGONAUTICHE

Come si può evincere dalla sua biografia, l'opera che più si lega al nome di Apollonio Rodio sono le "Argonautiche", poema epico in esametri suddiviso in quattro libri (secondo il precetto aristotelico), dedicato alla saga degli Argonauti, gli eroi che a bordo della nave Argo partirono alla volta della Colchide, sotto le guida di Giasone, per conquistare il vello d'oro. Autentica sembra la notizia, riportata dalle "Vite", di una duplice edizione dell'opera, la prima ad Alessandria, assai tiepidamente accolta, la seconda a Rodi, profondamente rielaborata, che portò infine all'autore fama e successo. Di seguito i riassunti delle vicende dei IV libri che compongono l'opera: ovviamente i riassunti sono molto stringati, visto il grande numero di avvenimenti e dei versi dell'opera, e servono come indicazioni per una futura lettura.


Libro I

Dopo l'invocazione proemiale ad Apollo e alle Muse, si raccontano i preparativi della partenza con il catalogo dei cinquantatre eroi che partecipano alla spedizione (ricalcando il catalogo delle navi dell'Iliade) e il commiato degli Argonauti dai propri cari, tra cui il doloroso colloquio fra Alcimede, madre di Giasone, e il figlio. La partenza non è priva di contrasti e contese a causa dello scontro fra Ida e l'indovino Idmone sull'efficacia dei riti propiziatori: dovrà intervenire Orfeo per conciliare gli animi e permettere alla nave Argo di salpare. La prima tappa del viaggio è l'isola di Lemno, luogo in cui le donne hanno ucciso i propri mariti: gli Argonauti vengono invitati a supplire alla mancanza degli uomini e si concedono un periodo di svago e diletto; lo stesso Giasone stringe una relazione con la regina Ipsipile. Alla fine, scossi dalle parole di biasimo rivolte loro da Eracle, gli eroi abbandonano la piacevolezza del soggiorno per riprendere il mare e approdano prima nella terra dei Dolioni (che inizialmente aiutano a sconfiggere i Giganti e poi, secondo quanto previsto dall'oracolo, uccidono nell'oscurità della notte confondendoli con dei nemici) e poi in Misia. Qui Ila, giovinetto amato da Eracle, mentre si reca ad una fonte per attingere acqua, viene rapito da una Ninfa, gettando nel dolore lo stesso Eracle che decide di abbandonare la spedizione, assieme a Polifemo, per cercare il giovane figlio di Teodamante.

Edited by MAguSS - 12/8/2005, 15:04
 
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MAguSS
view post Posted on 12/8/2005, 14:02




Libro II

Si susseguono una serie di avventure che gli Argonauti affrontano nei vari territori in cui approdano prima di giungere alla loro meta, la Colchide: il primo incontro è con i Bebrici, il cui re Amico è solito sfidare nel pugilato gli stranieri per poi ucciderli; il sovrano verrà tuttavia sconfitto da Polluce. Gli eroi giungono quindi in Bitinia, dove aiutano l'indovino Fineo a liberarsi delle Arpie che, realizzando una punizione inflitta da Zeus al profeta, gli impedivano di nutrirsi insozzando il cibo. Per riconoscenza Finea predice agli eroi il futuro e svela loro come poter superare le difficoltà che di volta in volta incontreranno. Dopo aver attraversato, grazie all'aiuto di Atena, le Simplegadi (le rocce che, chiudendosi, impediscono il passaggio dal Mar Egeo al Mar Nero), incontrano la popolazione dei Mariandini il cui re Lico, accogliendo con amicizia gli eroi, affida loro come guida il proprio figlio Dascilo. In questa sede muoiono sia l'indovino Idmone, ucciso da un cinghiale, sia il nocchiero Tifi, colpito da un'improvvisa malattia. Lungo le coste del Mar Nero si descrivono in breve incontri con popoli dalle usanze stravaganti come i Calibi che dissodano il terreno per ricavarne ferro o i Tibareni, presso i quali i mariti simulano le doglie del parto quando le mogli partoriscono, o i Mossineci che compiono in pubblico ciò che altrove è conveniente fare in privato e viceversa. Nell'isola di Ares gli Argonauti riescono a spaventare gli uccelli dalle ali di bronzo, le cui penne sono come pericolose frecce, e prendono con loro i figli di Frisso (colui che, salvato dall'ariete dal vello d'oro, lo aveva poi sacrificato a Zeus), approdati qui dopo un naufragio. Dopo aver visto da lontano Prometeo, il cui fegato viene incessantemente divorato da un'aquila, e averne udito le grida di dolore, giungono infine nella Colchide.
 
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MAguSS
view post Posted on 12/8/2005, 14:59




Libro III

La scena si apre con Era e Atena che si recano a casa di Afrodite per indurla ad aiutare gli eroi a ottenere il loro scopo: riportare in patria il vello d'oro. La dea dell'Amore acconsente e invia Eros per far sì che Medea, la giovane figlia del re della Colchide Eeta, si innamori di Giasone e, grazie alla sua conoscenza delle arti magiche, aiuti l'eroe nella sua impresa. Nel frattempo gli Argonauti sbarcano sulle coste della Colchide e si recano dal re per chiedere il vello d'oro. Eeta, dopo l'iniziale riluttanza, si mostra disponibile a concedere il prezioso oggetto purchè Giasone riesca ad aggiogare due tori dai piedi di bronzo e spiranti fiamme e con essi arare un campo in cui seminare i denti di un drago; dal terreno nasceranno dei guerrieri armati che l'eroe dovrà uccidere. Giasone, pur consapevole che le richieste di Eeta hanno come unico scopo la sua morte, accetta la prova e su proposta di Argo, uno dei figli di Frisso, chiede aiuto a Medea. La fanciulla, colpita dalla freccia di Eros, dopo una notte tormentosa in cui è incerta sul da farsi (meraviglioso e carico di tensione emotiva il suo monologo, NdM) sceglie di aiutare l'eroe e in un incontro nel tempio di Ecate gli dona filtri magici e preziosi consigli per permettergli di superare le prove imposte dal re. Nonostante la richiesta di Medea di una semplice gratitudine, il figlio di Esone promette alla giovane di portarla con sè in Grecia. Grazie all'aiuto della figlia di Eeta, Giasone aggioga i tori e uccide gli eroi generati dai denti del drago.
 
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MAguSS
view post Posted on 12/8/2005, 15:11




Libro IV

Medea, dopo aver rimosso le ultime incertezze e prevenendo l'ira del padre che comincia ad essere consapevole dell'appoggio dato dalla figlia all'eroe greco, decide di aiutare GIasone anche nella conquista del vello d'oro: sempre ricorrendo alle sue arti magiche, riesce a far addormentare il drago che vegliava l'importante cimelio, permettendone così la conquista da parte dell'eroe. Ottenuto ciò per cui avevano affrontato tante peripezie, gli Argonauti, con Medea, partono per mare cercando di sfuggire ai COlchi che, guidati dal figlio di Eeta, Assirto, si sono gettati all'inseguimento. In Paflagonia però i Greci si sentono ormai raggiunti e pensano di trovare un accordo con gli avversari, cedendo Medea in cambio del vello d'oro: le dure proteste della giovane convincono Giasone a tendere un agguato ad Assirto con il pretesto di un incontro per un possibile accordo. Con il fondamentale contributo della sorella, Assirto viene tratto in inganno e fatto a pezzi da Giasone. Eliminato il pericolo derivante dai COlchi, gli Argonauti, con un percorso tortuoso e inconsapevole, che prevede non solo una navigazione marina ma anche fluviale (attraverso il Danubio, il Po e il Rodano), e con il non remoto rischio di perdersi definitivamente nelle acque dell'Oceano, giungono infine nel Mar Tirreno, presso Eea, dove risiede la maga Circe, sorella di Eeta, che purifica i due amanti per il loro empio delitto. A questo punto la navigazione della nave Argo procede per luoghi che già erano stati oggetto del viaggio di Ulisse nell'Odissea: l'isola delle Sirene, Scilla e Cariddi, la terra dei Feaci, nella cui città di Drepane vengono celebrate le nozze tra Medea e Giasone. Di nuovo in mare e ormai in prossimità del Peloponneso, un'improvvisa tempesta getta la nave Argo sulle coste dell'Africa, in una zona di bassifondi: solo l'attraversamento del deserto della Libia, con la nave portata a spalla per dodici giorni, permetterà agli eroi di giungere presso il Lago Tritonide e da lì in mare aperto. Sbarcati a Creta, Medea, ancora grazie alle sue arti magiche, uccide Talos, la grande statua vivente di bronzo che proteggeva l'isola distruggendo le imbarcazioni che cercavano di attraccare. Proprio nel mare intorno all'isola appare Apollo, che permette infine agli argonauti di fare ritorno in patria. Il poema si conclude con l'approdo a Pegase, il luogo da cui la spedizione era partita.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 13:58




IL MONDO DI APOLLONIO

Apollonio tra Omero e Callimaco
Già la tradizione antica favoleggiò a lungo su un presunto contrasto fra i due esponenti dell'ellenismo alessandrino, constrasto che sarebbe stato alla base dell'allontanamento di Apollonio da Alessandria. In realtà questo contrasto è probabilmente frutto di una errata interpretazione di alcune dichiarazioni callimachee (Apollonio è stato a lungo considerato come uno dei Telchini contro cui Callimaco polemizza nell'esordio degli Aitia, ma gli scoli hanno sfatato quello che era divenuto ormai un luogo comune della critca) piuttosto che indice di una realtà verificabile sui testi a noi giunti. I ripetuti pronunciamenti di Callimaco contro il "poema lungo" non vanno intesi infatti come rifiuto pregiudiziale per un genere letterario, quanto piuttosto come una presa di posizione contro la prassi rapsodica dei suoi tempi, affidata a esecutori "popolari" in cui la quantità andava di norma a scapito della qualità, protagonisti di performances volgari, prive di eleganza, di raffinatezza, di "labor limae" e "doctrina". La sfida di Apollonio è invece proprio nel tentativo di contenere la misura del poema epico nei limiti imposti dalla teorizzazione aristotelica, così da raggiungere anche in quest'ambito gli irrinunciabili ideali poetici di erudizione, creatività, eleganza formale. Da questo punto di vista le "Argonautiche" appaiono davvero come il frutto di un prodigioso lavoro di "miniaturizzazione": nel poema sono infatti presenti tutti gli elementi che caratterizzano il genere epico come profezie, interventi delle divinità, cataloghi, assemblee, in uno spazio narrativo che è circa un terzo dell'Iliade e metà dell'Odissea; l'ampiezza dell'opera corrisponde press'a poco all'ampiezza di una tetralogia drammatica, secondo il precetto formulato da Aristotele (nella "Poetica).
La necessità di operare un profondo rinnovamento della tradizione appare pertanto ben presente in entrambi i poeti, che scelgono tuttavia due differenti modalità di approccio al problema: Callimaco attraverso l'elaborazione di generi letterari nuovi o comunque originali, Apollonio svuotando invece e ricreando dall'interno un genere assolutamente tradizionale come l'epica. Se infatti andiamo ad osservare l'opera da vicino, noteremo espliciti richiami e riferimenti intenzionali all'opera omerica, sia nella scelta dei contenuti sia per quanto concerne gli aspetti formali, senza che però questo adeguamento soffochi o celi gli elementi, altrettanto se non più evidenti, di novità e di rottura.
Il testo di Apollonio infatti evidenzia notevoli punti di contatto con i poemi omerici, soprattutto con l'Odissea: si pensi alle tappe comuni tra il viaggio di Giasone e quello di Odisseo (Ulisse), come Circe, Scilla e CAriddi, le Sirene, l'Isola dei Feaci, ma anche a episodi paralleli come il catalogo degli eroi, che rimanda al catalogo delle navi; l'incontro fra Giasone e Fineo, modellato su quello fra Odisseo e Tiresia; l'episodio di Giasone e Ipsipile, che richiama quello che ha per protagonisti Odisseo e CIrce. Apollonio inoltre sceglie in base a una volontà ben preciso di raccontare un mito fondativo della cultura ellenica più o meno coevo all'altro mito-chiave, cioè la saga troiana: si ricorderà infatti che i protagonisti dell'impresa del vello d'oro appartengono tutti alla generazione immediatamente precedente a quella dei protagonisti dell'Iliade. Ma se questi sono alcuni elementi di continuità, vediamo ora i principali elementi di innovazione e di rottura rispetto alla tradizione.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 14:03




La tecnica narrativa
L'intreccio delle Argonautiche differisce tanto da quello iliadico, caratterizzato da una perfetta linearità cronologica, quanto da quello odisseico, fondato sul flash-back; la narrazione apolloniana infatti investe contemporaneamente più piani temporali: il passato del mito (attraverso le continue digressioni eziologiche ed erudite), il presente della vicenda degli Argonauti, la contemporaneità del narratore (che spesso interviene in prima persona nel racconto), il futuro di alcuni excursus e delle predizioni.
Quella che in apparenza può sembrare linearità narrativa è in realtà, nelle Argonautiche, una sequenza di episodi e digressioni in sè compiute; lo schema narrativo del viaggio permette, in linea con l'erudizione ellenistica, l'inserzione di argomenti geografici, etnografici, religiosi, onomastici, eziologici (ciò è evidente soprattutto nel viaggio di ritorno, particolarmente tortuoso e complesso, all'interno del quale Apollonio, con gusto erudito tipicamente alessandrino, cerca di proporre una conciliazione tra le varie tradizioni locali legate al mito degli Argonauti stessi) che isolano le sequenze conferendo al testo l'aspetto complessivo di una preziosa collana di episodi esteticamente autonomi.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 15:01




Il tema del viaggio
Ma naturalmente il tema del viaggio non è in Apollonio solo un pretesto per l'erudizione: esso costituisce la struttura portante dell'intero poema.
Ciononostante, proprio il viaggio è concepito in modo molto diverso in Omero e in Apollonio: Odisseo infatti ha una meta precisa da raggiungere, che è il ritorno in patria; Giasone compie invece un percorso circolare, partendo da Iolco per poi ritornarvi. Questa circolarità del viaggio degli Argonauti, e quindi della narrazione, non si concilia con la ciclicità tipica del genere epico: infatti l'Iliade e l'Odissea, ma anche l'Eneide, iniziano in "media res", cioè nel mezzo dei fatti, e raccontano di un singolo momento, più o meno lungo, all'interno di una vicenda ben più ampia di quella narrata.
A ciò si aggiunga che il viaggio non è scelto dagli Argonauti ma è subìto solo per realizzare una richiesta di Pelia, che a sua volta non ha veramente a cuore il vello d'oro, ma spera che in un'impresa così dura Giasone possa trovare la morte e venga così scongiurata la realizzazione della profezia che vuole lo stesso Pelia ucciso dal figlio di Esone (Giasone appunto): il viaggio non ha quindi senso in sè nè per chi lo compie nè per chi lo impone, e non sarà difficile in questo cogliere una metafora esistenziale che ben raffigura la condizione dell'uomo dell'ellenismo, ormai non più arbitro del proprio destino ma ininfluente pedina di un gioco troppo più grande di lui
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 15:06




Il mondo divino
Altro tratto caratteristico della tradizione epica è da sempre la forte integrazione, nel racconto, fra mondo umano e mondo divino; qui l'innovazione introdotta da Apollonio è vistosa (e, ancora una volta, decisamente ellenistica), tanto che alcuni critici hanno parlato addirittura di un processo di "laicizzazione" dell'epos. Di fatto, nel poema gli Dèi si presentano come spettatori e non come protagonisti delle vicende narrate; essi si limitano in buona sostanza ad accompagnare un'azione che si sviluppa per cause indipendenti dalla loro volontà. E' significativo, da questo punto di vista, il fatto che l'unico "concilio degli Dèi" presente nelle Argonautiche, all'inizio del III libro, venga da Apollonio raffigurato piuttosto come una raffinata conversazione fra donne in un salotto "borghese".
Ma se non è più la volontà degli Dèi a muovere e a giustificare gli eventi, non ci stupisce cogliere un pessimismo di fondo dominante nelle Argonautiche, dovuto all'impossibilità dell'uomo non solo di scegliere il proprio agire, ma persino di comprendere le ragioni; l'eroe si scopre in balia di una Tùke (Fato) oscura e inconoscibile, e in questo suo destino egli offre uno specchio dell'uomo nuovo del mondo ellenistico.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 15:13




La figura dell'eroe
Quanto si è detto richiama un altro aspetto fondamentale dell'opera apolloniana che la distanzia dal modello omerico; l'eroe abdica infatti alla sua tradizionale funzione paradigmatica per assumere una valenza che potremmo definire speculare: non più immagine dell'uomo come deve essere, ma dell'uomo com'è. In questo senso Giasone è un tipico anti-eroe, inadeguato all'impresa, insicuro, debole (anche nelle motivazioni), investito di un ruolo che non vuole e per il quale non si sente tagliato, vittima di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dei più tradizionali modelli rappresentati da Eracle o Peleo, eroi vecchio stampo che si risolvono tutti e interamente nell'azione.
Giasone è lontanissimo da Achille; è eroe che ama poco le armi e preferisce il dialogo, le arti della politica, della mediazione, del compromesso. Rispetto a Odisseo poi, il "polùtropos" che in ogni situazione sa trovare una via d'uscita, Giasone è invece personaggio dominato dalla "amenakìa", frustrante sentimento di ineguatezza e di impotenza. E' questa senza dubbio una tipologia assolutamente nuova di eroe, da cui poi deriveranno personaggi come l'Enea virgiliano (pur con le dovute differenze, spirituali oserei dire), egli pure eroe dell'incertezza e del dubbio, anche se nel poeta latino il destino dell'eroe appare illuminato dalla consapevolezza di un disegno superiore voluto dalla divinità (punto, questo, importantissimo e da tenere sempre in considerazione). Da questo punto di vista (ma anche per quanto concerne la caratterizzazione dei personaggi e l'intervento del narratore) le Argonautiche costituiscono l'anello di congiunzione tra i poemi omericoi, la tradizione tragica (soprattutto euripidea) e l'Eneide virgiliana.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 15:19




La donna
Se il protagonista principale, l'eroe maschile, appare ridotto alla passività e all'impotenza, accanto a lui ecco elevarsi straordinario nella sua novità il personaggio di Medea, fondamentale addirittura per la risoluzione della vicenda: il vello d'oro infatti non sarà riportato in Grecia grazie all'opera dell'eroe nè grazie all'intervento della divinità, ma grazie a una donna, e una donna barbara per di più. Nessuna figura femminile ha mai avuto un ruolo così rilevante nell'epica, ed è proprio in questo aspetto che l'epos di Apollonio mostra in modo più evidente il debito contratto nei confronti della tragedia, e in particolare di quella euripidea. Nel tratteggiare la figura di Medea, Apollonio ha dedicato straordinaria attenzione alla costruzione del personaggio attraverso una raffinata introspezione psicologica, evidente nella capacità di cogliere l'evoluzione del sentimento amoroso, come anche nel ritrarre la profonda e inquietante contraddittorietà del personaggio, allo stesso tempo adolescente ingenua che si apre appena alla nascita del sentimeno, e maga capace di esercitare un controllo potente sugli elementi, sulla vita e sulla morte (una dimensione, questa seconda, sulla quale ha esercitato un evidente influsso la Medea di Euripide).
 
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rihanna<3
icon12  view post Posted on 9/3/2011, 15:41




sex in the air!

Vita
Figlio di Batto e Mesatma, Callimaco veniva da una famiglia che poteva vantare una discendenza dal fondatore della città, che portava lo stesso nome del padre. Trascorsi i primi anni nella terra nativa, Cirene, fu costretto a recarsi in Egitto, ad Alessandria, dove fu prima allievo di Ermocrate di Iaso, per poi assumere l'incarico di maestro di scuola. Successivamente ad Atene fu discepolo del peripatetico Prassifane di Mitilene.
Incominciò a frequentare la corte di Tolomeo II Filadelfo, dove gli fu conferito il delicato compito di catalogare i testi della Biblioteca di Alessandria, fondata dallo stesso re. Da questa esperienza nacquero i Pinakes (o Tavole) della storia letteraria dei Greci: si tratta di una bibliografia a carattere enciclopedico di tutti gli scrittori in lingua greca, suddivisa, a seconda del genere; questo genere verrà ripreso anche da Varrone Reatino nelle sue Imagines. Gli autori erano qui catalogati in ordine alfabetico; ogni nome era accompagnato da una sintetica biografia, seguita dai titoli delle opere, corredati dall'incipit di ciascun testo. L'opera avrebbe dovuto vantare 120 volumi ed era certamente un testo imponente. Successivamente entrò nelle grazie di Tolomeo III Evergete, poiché la moglie Berenice II era concittadina di Callimaco. Da poeta di corte esaltò con carmi encomiastici entrambi. In particolare compose La chioma di Berenice: La regina aveva sacrificato per voto la sua splendida chioma, ma essa sarebbe stata assunta come costellazione del cielo.

[modifica] Opere
Scrisse moltissimo sia in versi sia in prosa: secondo la tradizione avrebbe scritto 800 libri, tra cui i citati Pinakes e una serie di opere di erudizione sui più disparati argomenti, dalla storia alla geografia, dalla etnografia alle paradossografie (in greco παραδοξογραφία, cioè testi sulle cose meravigliose). Per ciò che concerne i carmi, vanno ricordati quattro libri di elegie intitolati Aitia (Αἴτια, cioè Origini o Cause), tredici Giambi, sessantatré Epigrammi (confluiti nella cosiddetta Antologia Palatina), sei Inni, Carmi melici (Festa notturna, Apoteosi di Arsinoe, Branco) e un epillio, l'Ecale.

Dell'opera callimachea più rappresentativa, gli Aitia, possediamo circa duecento frammenti. È una silloge di elegie a carattere eziologico, nelle quali l'autore ricerca l'origine di miti, cerimonie e costumi. Callimaco, contrario al poema ciclico (o meglio, rifiuta i sordidi imitatori di Omero a lui contemporanei), utilizza miti nuovi e temi semplici in componimenti non lunghi, ma artisticamente elaborati. Egli è poeta dotto, che scrive per una cerchia limitata di persone colte.

[modifica] Stile
Amante della ricerca erudita e del labor limae ovvero la curata elaborazione formale, influenzò la poesia ellenistica e quella romana. Senza di lui, infatti, non sarebbero nati carmi di Catullo, di Virgilio, di Tibullo, di Properzio. Callimaco si eleva tra i contemporanei per l'efficace brevità e concisione dei suoi carmi nonché per la levigatezza formale. Pratica con sistematicità la polueideia (in greco πολυείδεια, la mescolanza di generi) e la poikilia (in greco ποικιλία, la contaminazione di generi, in latino contaminatio). Nel giambo XIII afferma, per esempio, che non esiste nulla che obblighi il poeta a seguire un solo genere letterario. D'altra parte spesso sente la necessità di giustificarsi per le sue scelte e per la sua metaletteratura perché consapevole di essere incredibilmente sperimentale e innovatore.

Contrario alla concezione platonica dell'arte, propone una poesia non didascalica, ma piuttosto orientata al diletto; è arguta, ironica, elegante, con uno stile vivace, conciso ed espressivo. Non manca una certa prolissità, propria dell'epica antica, né infrequente è il ricorso a giochi di parole, neologismi ed etimologie.

Partecipò attivamente alle polemiche letterarie del suo tempo, attaccando i suoi rivali e critici denominati i "Telchini" (vedi l'introduzione degli 'Aitia), ovverosia i fautori di poemi epici ciclici e di ideali letterari superati.
Non diversamente da Omero, Callimaco va giudicato come uno dei più grandi artisti della grecità, l'archetipo di un nuova concezione della poesia, quasi precorritrice di quella moderna. Fu maestro di Eratostene di Cirene, di Apollonio Rodio e fu inoltre tra i primi ad utilizzare il genere del simposio per le questioni non filosofiche, ma storiche e letterarie, come faranno in seguito Didimo, Plutarco e Ateneo.

 
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