Leonida di Taranto, Epigrammista del primo ellenismo (III secolo a.C.)

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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 23:15




Leonida (Leonìdas) nacque a Taranto, antica colonia dorica, verso il 320 a.C. Dopo la conquista romana della città (nel 272 a.C.) si recò, probabilmente al seguito di Pirro, in Epiro. In seguito il poeta "randagio", come egli stesso si definiva, andò errando in varie città e regioni del mondo greco, nel Peloponneso (toccando Sparta e l'Arcadia) ad Atene e Tebe, a Cos, in Asia, forse anche ad Alessandria. Compose epigrammi per la vittoria di Taranto sui Lucani e in lode di Neottolemo e di Pirro, di cui celebrò le vittore contro Galati e Macedoni. Morì verso il 260 a.C. e in un epigramma degli ultimi anni (un autoepitafio) diede espressione dell'accorata nostalgia per la patria, mitigata però dalla solida autocoscienza di poeta e dalla certezza che le Muse non avrebbero fatto dimenticare il suo nome. Questa è propriamente la caratteristica del poeta di Taranto: vita randagia, misera, marginale, ma dono grande della poesia che dà luce anche a quella vita di piccoli uomini e piccole cose. Di Leonida conserviamo oltre un centinaio di epigrammi, in gran parte sepolcrali e dedicatori; di almeno 92 si ritiene sicura l'attribuzione.
Leonida, che è il più famoso dei poeti peloponnesiaci, coltiva temi quasi sempre legati alle esperienze di vita della povera gente, di pescatori, marinai, contadini, artigiani, cacciatori, tessitrici, filatrici, in relazione ai quali compone anche, in grande numero, dediche di arnesi di lavoro offerti in voto alla fine della loro umile attività. Questo gusto per la rappresentazione della vita semplice, se non misera, dei ceti quasi "marginali", ma attivi e necessari all'economia del tempo, è fortemente operante nella poesia ellenistica, ma Leonida se ne fece interprete con dedizione assoluta e con toni austeri, privi di ironia scherzosa, se non quando invita i topi a cercare cibo altrove, non nella sua madia. Tra la tematica della povertà e delle umili cose e il linguaggio usato, sfarzoso, persino sovrabbondante e barocco, c'è il contrasto notato già a proposito di altri poeti, ma accentuato nel poeta di Taranto che, almeno per il dettato, e quindi per il pubblico a cui si rivolge, è certamente "aristocratico". Anche per lui è giusto fare riferimento alla ricerca del "primitivo" e del "primigenio", ma più per il disgusto verso una società tumultuosa, troppo divisa da disparità economiche e sociali, piuttosto che per solidarietà sociale o di classe nei confronti dei personaggi umili rappresentati con efficacia. I suoi epigrammi, spesso dilatati oltre i limiti tradizionali, evocano talvolta paesaggi rustici alla maniera di molti poeti di questa scuola, e spesso sono percorsi e investiti da un'immaginazione cupa, da un certo gusto del macabro e dell'orrido.
 
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MAguSS
view post Posted on 26/8/2005, 23:49




Alcuni degli epigrammi più belli e significativi:

Gli ottant'anni di Clitòne
E' di Clitòne l'esigua casupola e il piccolo fondo
seminativo, e accanto la magra vigna e questo
ciuffo di stenti alberelli: eppure con tali risorse
Clitòne ha sostentato i suoi bravi ottant'anni.


Epigramma sepolcrale o pseudo-sepolcrale del poeta randagio, che conobbe la povertà, per un povero contadino. "Leonida è poeta ellenistico nel senso storico, più pieno e rigoroso. Cultore sapiente, costruttore esperto di simmetrie verbali e strutturali, Leonida ha dato all'epigramma ellenistico, fulgidamente fiorito nelle officine di Cos o di Alessandria, un'andatura nuova e un contenuto nuovo. Soggiogato all'inizio della sua attività dalla soavità arcadica dei paesaggi di Anite o di Moiro, non dissolve la sua sensibilità in un mero rispecchiamento di formule e motivi arcadici, ma gradatamente trasferisce in quell'Arcadia formale e decorativa motivi profondi della sua anima, la sua malinconia virile, il senso reale della vita laboriosa e dolorosa, la consapevolezza dell'inutilità di paradigmi mitici o religiosi o tradizionali, la coscienza della vitalità eroica degli uomini del suo tempo: degli Odisseidi che muoiono naufraghi nel Mar Ionio o nel Mar Libico, dei pastori e dei caprai che chiedono ai loro Dèi favori proporzionati alle loro offerte, [...] del contadino che offre al suo dio i prodotti con cui compra cavoli e latte. Questa è l'Antiarcadia che consapevolmente e soffertamente Leonida inserisce nella campagna, che egli ereditava da Anite come puro gioco d'arte, come raffinata filigrana. Quel paesaggio si muta nelle sue mani e diviene sua creazione, perchè lo permea della sua sensibilità, del suo pathos di povero vagabondo: nel canto di questa Antiarcadia Leonida dispiega la sua tecnica dotta e precisa, senza squilibrio e senza renitenza, sciogliendo nella novità della sua poesia il nodo della miseria e dell'angustia quotidiana". (M.Gigante, "L'edera di Leonida").

Le spoglie di Sòcari
Una bisaccia, una pelle di capro tutt'ispida e secca,
un bastone compagno di viaggio, un'ampolla
non mai pulita, una borsa non mai visitata da un soldo,
un berretto riparo d'una zucca pelata,
ecco le spoglie di Sòcari, alla cui morte la Fame
tutte le appese a questo sterpo di tamerice.


Epigramma dedicatorio che è, in realtà, un epitimbio per Sòcari, giunto al termine di una vita povera e stentata. L'immagine conclusiva della Fame, compagna di tutta la sua vita, ritratta mentre premurosa appende le sue misere cose alla tamerice, è tocco di un'arguzia assieme divertita e commossa.

Qui i topi non rosicchiano
Via dalla mia tana, topo notturno:
nella misera dispensa di Leonida
c'è poco. Una presa di sale e due
pani d'orzo: la dieta che i mei avi
mi lasciarono; e di questa mi vanto.
E allora perchè piccolo goloso
frughi in questo buco?
Qui non ci sono avanzi di banchetti.
Fila in altra casa (io ho povere cose):
là troverai grande abbondanza.


"Non so perchè non ci si debba ancora accorgere, ad esempio, che quella stessa graziosa favoletta leonidea sui "topolini commensali del mendico" non può significare una semplice annotazione realistica ed autobiografica del poeta povero, ma DEVE invece essere riconosciuta per quella che è: una modesta e poco originale frangia di quella già nota, insistente, grossa favola da ricchi, che consisteva nell'idealizzazione mitizzante della miseria. Piccola frangia del mantellone filosofico cinico, allora tanto di moda: non già rivelatore, ma anzi dissimulatore della miseria e dei suoi problemi. Diogene possiede e gode più di Alessandro, perchè chiede meno, anzi non chiede nulla, se non un raggio di sole - dice l'aforisma cinico - e Leonida, nella sua favoletta in versi, accennava a sapersi contentare di due pani e un pizzico di sale: patrimonio ereditario". (G.Lombardo Radice, "Leonida Tarentino, poeta ricco").
Il tema dei topi all'attacco delle provviste dei poveri è presente anche nell'Epinicio per Berenice" di Callimaco, in cui è introdotta la vicenda di Eracle ospite del povero Molorco.

"Ricorda di che paglia sei fatto"
Infinito fu il tempo, uomo, prima
che tu venissi alla luce, e infinito
sarà quello dell'Ade. E quale parte
di vita qui ti spetta, se non quanto
un punto, o, se c'è, qualcosa più piccola
d'un punto? Così breve la tua vita
e chiusa, e poi non solo non è lieta,
ma assai più triste dell'odiosa morte.
Con una simile struttura d'ossa,
tenti di sollevarti fra le nubi
nell'aria! Tu vedi, uomo, come tutto
è vano: all'estremo filo, già
c'è un verme sulla trama non tessuta
dalla spola. Il tuo scheletro è più tetro
di quello d'un ragno. Ma tu, che giorno
dopo giorno cerchi in te stesso, vivi
con lievi pensieri, e ricorda solo
di che paglia sei fatto.


"Suona in questi versi una nota dell'antico Simonide Amorgino che già sentì l'amara tristezza di quest'attimo impercettibile fra due abissi infiniti, e vi è pure probabilmente una risonanza della predicazione morale cinica che ancora, alcuni secoli più tardi, Marco Aurelio ripercorrerà nelle sue Memorie." (E.Bignone, "L'epigramma greco")

Sepolto in terra e in mare
Sono sepolto in mare e sulla terra.
Fatto singolare accaduto a me,
Tharsys figlio di Carmide,
secondo la volontà delle Moire.
Mi ero gettato nello Jonio in cerca
dell'ancora pesante,
e scendendo nell'acqua
l'avevo portata in salvo. Ma quando
risalivo dall'abisso e le mani
allungavo già agli altri marinai
fui divorato. Un mostro enorme, orribile
mi aveva preso
ingoiandomi fino all'ombelico.
Tolsero allora i marinai dall'acqua
una mia metà, gelida zavorra:
l'altra l'aveva trascinata via
il pescecane. O viandante, su questa
spiaggia i compagni hanno sepolto i resti
di Tharsys che non tornò più in patria.


Ancora un esempio del gusto di Leonida per i temi macabri: qui abbiamo l'epicedio per un pescatore mezzo ingoiato da un pescecane, sepolto quindi metà in terra, metà in mare, nel ventre dello squalo che l'ha ucciso.

Non logorarti
Uomo, non logorarti a condurre una vita errabonda;
a trascinare il tuo corpo di terra in terra
non logorarti. A te sia ricovero nudo tugurio,
cui riscaldi la fiamma d'umile focherello;
pur se ti è pane una rozza focaccia di grossa farina
impastata in un coccio con le tue stesse mani,
e companatico un filo di timo o di menta, con qualche
chicco di sale, amaro e dolce condimento


A mio avviso uno degli epigrammi più belli, profondi e significativi. "Qui il poeta, pur muovendo da gesti suoi quotidiani, nel suo ambiente, non fa nè confessione diaristica "romantica", nè documentario "realistico" sulla miseria; non descrive cibi, ma ci comunica il sapore stesso della vita, quando essa è nuda, essenziale. Anche qui, come nel Pascoli, vocaboli popolari e ambiente domestico non significano nè poesia popolare nè poesia realistica: tutt'altro. La sola immagine che l'epigramma vitalizzi è quella di un uomo che elabora una ricchezza interiore in una cornice di miseria" (G.Lombardo Radice, "Leonida Tarentino, poeta ricco").

Il lamento dell'esule
Molto lontano dormo dalla terra
d'Italia e dalla mia patria, Taranto.
Questo è per me più amaro della morte.
Tale è la vana vita d'ogni nomade.
Ma le Muse mi amarono, e per tutte
le mie sventure mi diedero in cambio
la dolcezza del miele.
Il nome di Leonida non è morto.
I doni delle Muse lo tramandano
per ogni tempo


Stupendo epigramma. Leonida trova gli accenti di Teognide per esprimere la sua nostalgia d'esule. Ma di fronte all' "àbios bìos" c'è l'orgoglio del poeta, certo che il suo nome non perirà.
 
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majroldi
view post Posted on 8/3/2015, 22:52




Volevo solo aggiungere un epigramma di Leonida di cui avevo trovato traduzioni che non mi convincevano, mentre invece l'originale è molto bello. Quindi ho rifatto una traduzione a modo mio, e l'ho inserita nel mio libro "Dimensione casa". Ve la propongo:

Plattide

L'anziana Plattide spesso fugò da sé la miseria
scacciando il sonno del vespero è quello del primo mattino;
alla conocchia vicina e al fuso amico al lavoro
cantò fin presso alle soglie di una vecchiaia canuta
e ancora attorno al telaio fino a vedere l'aurora
percorse insieme alle Grazie il lungo stadio d'Atena
o nell'avvolgere il filo attorno al ginocchio rugoso
con una mano rugosa l'assicurava al telaio
così a ottant'anni varcava l'acqua del fiume Acheronte
la bella Plattide esperta nel tessere in bella maniera.

Maria Ajroldi
 
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2 replies since 26/8/2005, 23:15   5696 views
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