Scuole e tendenze retoriche in età imperiale, Caratteri generali e principali esponenti

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MAguSS
view post Posted on 29/8/2005, 21:11




Scuole e tendenze retoriche in età imperiale

Caratteristica della prima età imperiale (sec. I-II d.C.), che sotto questo aspetto prosegue una tendenza già evidenziatasi nel tardo ellenismo, è la riduzione progressiva del peso culturale della poesia e della filosofia a vantaggio della retorica, che sottrasse spazio all'una e all'altra, specie all'interno del panorama culturale romano, dove le scuole di retorica si andavano moltiplicando e cominciavano a determinare il gusto di un pubblico sempre più vasto. Tappa importante in questo processo fu il principato di Vespasiano, che accordò cospicui privilegi a retori e grammatici fino a istituire scuole di retorica pagate direttamente dallo stato. Per la classe dirigente romana l'educazione retorica divenne così sempre più il passaporto obbligato per la carriera politica.
Testimonianze diverse (importanti per noi le esercitazioni oratorie di Seneca il Vecchio) ci mostrano anche la particolarità delle metodologie didattiche, che avevano nella simulazione di un dibattito ("controversia") e nella declamazione di un discorso fittizio ("suasoria") il momento culminante. Dunque l'oratoria era sempre più concepita come esercizio di stile e diveniva sempre meno attinente alle concrete dinamiche della realtà sociale e politica. In particolare è da osservare come la retorica abbia influenzato profondamente la produzione poetica (tratto evidente nella produzione latina dell'epoca, in particolare in autori come Petronio o Lucano) e a sua volta ne abbia assunto le prerogative, adottandone sovente il linguaggio e appropriandosi persino di generi tradizionalmente pertinenti alla sfera della poesia (ad esempio la trasformazione dell'encomio in panegirico). Giungeva così alle sue conseguenze estreme quella moda oratoria che risaliva di fatto ai tempi di Gorgia e già in età ellenistica aveva avuto in Egèsia di Magnesia (IV-III secolo a.C.) uno dei suoi massimi esponenti, mentre alla fine della repubblica aveva trovato significativi continuatori in oratori latini come Ortensio Ortalo; definita "asiana", questa forma di eloquenza privilegiava le risorse del pathos attraverso il ricorso al repertorio di figure (specie quelle del suono), immagini ed espressioni proprie della tradizione poetica (senza trascurare la frequente applicazione del ritmo poetico nella prosa attraverso il ricorso sistematico ad iperbati, anche violenti), enfatizzando, ai fini del "suadere" (che rimane sempre e comunque lo scopo dell'arte oratoria), la strategia del "movere", ovvero della mozione degli affetti e del coinvolgimento emotivo dell'interlocutore.
Contro le degenerazioni di questa tendenza oratoria, facile a scadere nel puro virtuosismo formale alla lunga stucchevole e vuoto, già sul finire dell'età repubblicana si erano levate a Roma voci di dissenso, concretizzatesi in particolare attorno alla figura di Apollodoro di Pergamo (ca. 105-120 a.C.), che fu tra l'altro maestro di Ottaviano e compose una "Tèkne retorikè" tradotta in latino da Valgio Rufo. Contro quella che egli considerava una forma di eloquenza degenerata, Apollodoro, ispirandosi ai principi della riflessione peripatetica, propose un ritorno al modello classico dell'oratoria lisiana, caratterizzata da un uso sobrio e misurato delle risorse espressive, e da una strategia di persuasione fondata essenzialmente sul "docere", ovvero sull'appello non alla sfera emotiva, ma a quella logico-razionale dell'interlocutore. Questa tendenza, che venne definita "atticista", ebbe indubbiamente il merito di porre un freno a certi eccessi dell'asianesimo, condannati già da Cicerone. Assumendo però delle posizioni troppo rigide, anch'essa sovente rischiò di tradursi a sua volta in un approccio meramente tecnico all'eloquenza, forzandola a divenire una disciplina "scientifica", prigioniera di regole inflessibili e pedanti. Accanto infatti ad esponenti piuttosto moderati dell'atticismo, come Dionigi di Alicarnasso (che avvicinandosi alle posizioni di Cicerone proponeva un ricorso equilibrato alle diverse tecniche di persuasione e indicava non in Lisia, ma nel più drammatico Demostene il modello di riferimento della prosa atticista), si affiancarono sostenitori assai più rigidi del primato lisiano, come il siciliano Cecilio di Calatte (nato intorno al 50 a.C.), vissuto a Roma sotto Augusto e autore di numerosi trattati su argomenti linguistici, esegetici e tecnico-retorici, come "Contro i Frigi" (cioè gli asiani), "Sulle figure retoriche", "Sulla differenza fra atticismo e asianesimo", oltre a una "Tèkne retorikè" e "Sullo stile dei dieci oratori", in cui per la prima volta veniva stabilito il canone degli oratori "classici", destinato ad esercitare larga influenza per tutta l'età imperiale.
Cecilio, il cui giudizio puntiglioso non risparmiava nemmeno la prosa platonica, avvertita come troppo aderente alle dinamiche del vissuto, ebbe come principale oppositore il siriano Teodoro di Gadara (nato intorno al 70 e morto dopo il 6 a.C.), maestro dello stesso imperatore Tiberio e autore di diverse opere di argomento storico e istituzionale, nonchè di trattati di linguistica e retorica. Sostenitore della natura artistica e non semplicemente tecnica dell'oratoria, Teodoro affermò l'opportunità di un utilizzo più libero delle risosre espressive e stilistiche, in rapporto al "kairòs", cioè alle circostanze e all'occasione.
Queste medesime posizioni furono ribadite poco più tardi nell'opera "Sul sublime", composta da un anonimo seguace di TEodoro: in essa, replica a uno scritto dal medesimo titolo di Cecilio, non si offriva del "sublime" una concezione in chiave meramente tecnica e una trattazione solo precettistica, ma se ne sottolineavano in particolare i risvolti interiori come "megalophrosùnes apèkema" ("risonanza/vibrazione della grandezza d'animo").
 
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MAguSS
view post Posted on 29/8/2005, 21:36




Studi linguistici e grammaticali

A contrapporre le due scuole, teodorea e apollodorea, oltre alla concezione della retorica, "arte" per i primi e "disciplina tecnica" per i secondi, contribuiva anche una concezione assai differente circa la natura e i caratteri della lingua. Per lo più analogisti, gli apollodorei concepivano infatti il linguaggio come frutto di una convenzione fondata su regole necessarie e immutabili (secondo l'impostazione che era stata di Aristofane di Bisanzio), e come tali sottratte al divenire e alle dinamiche storiche. Per lo più anomalisti, i teodorei vedevano invece nel linguaggio un organismo naturale soggetto all'evoluzione biologica (principio, questo, elaborato nell'ambito della filosofia stoica, in particolare da Crisippo), regolato dall'unica legge dell'uso. Frutto della polemica sviluppatasi tra le due scuole in questo particolare ambito fu un vasto fiorire di scritti sul patrimonio lessicale della tradizione classica, scritti che ebbero tra i cultori più significativi Panfilo di Alessandria (I secolo d.C.), autore di una monumentale raccolta di glosse in 95 libri (perduta), Diogeniano di Eraclea, Giulio Polluce (autore di un prezioso "Onomastikòn", giunto fino a noi), Arpocrazione (autore di un "Lessico dei dieci oratori" importante anche come fonte relativa al diritto attico). Tale filone di studi giungerà fino al V secolo d.C. col "Lessico" composto da Esichio di Alessandria, che ci conserva molto materiale del perduto lavoro di Diogeniano. In ambito più strettamente apollodoreo si mosse il grammatico Frinico, autore di un "Attikistès" e di una "Sophistikè paraskeuè" dedicata all'imperatore Commodo. All'area teodorea appartiene invece l'anonimo lessico che già nel titolo, "L'anti-atticista", esplica la propria posizione ideologica.
Oltre al lessico, nella prima età romana fu oggetto di studi anche il sistema complessivo della lingua. Sulla base di principi già fissati in età alessandrina (in particolare da Aristarco di Samotracia, che aveva distinto le otto parti del discorso: "ònoma", "rèma", "metokè", "antonumìa", "arthron", "epìrrema", "pròthesis", "sùndesmos", ossia nome, verbo, participio, pronome, articolo, avverbio, preposizione, congiunzione) si arriverà fra II e I secolo a.C. alla sintesi proposta dall'anomalista Cratète di Mallo (considerato il più antico grammatico operante a Roma, dove giunse nel 168 a.C. come ambasciatore) e quindi da Dionisio Trace (allievo di Aristarco) e da Asclepiade di Mirlea, Tirannione e Trifone, attivi nel I secolo a.C., la cui produzione manualistica ebbe larga fortuna in età imperiale, ma che noi conosciamo solo tramite rielaborazioni di autori più tardi come Apollonio Discolo (II secolo d.C.).
 
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view post Posted on 5/2/2023, 19:09
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Corvus

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Salve @Maguss , hai informazioni sull'ubicazione delle scuole di retorica a Roma nei primi secoli dell'impero? Mi interessa per cercare di localizzare la scuola di retorica aperta da Sant'Agostino, quando da Cartagine venne a Roma. Due località che ho trovato finora sono: sotto l'attuale chiesa di Santa Maria in Cosmedin (sebbene non riesco a trovare particolari notizie), e negli ambienti dell'attuale chiesa di Santa Pudenziana. Hai riferimenti bibliografici che possano aiutare in questa ricerca?
 
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