Meleagro di Gàdara, Epigrammista del tardo ellenismo (II-I secolo a.C.)

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MAguSS
view post Posted on 1/9/2005, 16:49




Meleagro (Melèagros) nacque a Gàdara in Palestina intorno al 130 a.C.: in gioventù imitò il suo conterraneo Menippo, seguendo, sia pure distrattamente, la filosofia cinica, e compose le "Càriti", una raccolta di poesie e prose satiriche che è andata perduta. Soggiornò in seguito a Tiro, dove conobbe e amò molte donne, tra cui le più famose, grazie ai suoi epigrammi, sono Eliodora e Zenofila. Da vecchio risiedette nell'isola di Cos, dove, dopo aver amato altre donne, tra cui Fanio, tornò agli studi filosofici della giovinezza e si dedicò alla composizione della "Ghirlanda", un'antologia di epigrammi suoi e di altri 44 poeti, che è alla base delle nostre raccolte. Della "Ghirlanda" o "Corona" possediamo il proemio, nel quale Meleagro definisce la poesia di ogni poeta con il simbolo di un fiore. Meleagro morì a Cos intorno al 60 a.C. Di lui conserviamo circa 135 epigrammi, quasi tutti amorosi, per fanciulli e per etere.
L'epigramma di Meleagro è di tema prevalentemente erotico-simposiale, ed è dettato, secondo le modalità della grande lirica arcaica di epoca corale, dalle varie occasioni del simposio. Nei versi del poeta di Gàdara trovano espressione tutte le situazioni amorose colte nell'istante in cui si attuano. I sentimenti sono descritti nella loro complessità, nel loro svolgersi e succedersi dinamico, ma anche raffreddati da una certa concettosità e arguzia. Artista fornito di grandi capacità espressive, essenziale e conciso nei suoi momenti più felici, subisce spesso la suggestione di una certa ridondanza verbale e di una certa enfasi anche nell'uso di mezzi retorici, che richiamano lo stile asiano allora di moda.
 
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MAguSS
view post Posted on 1/9/2005, 20:08




Alcuni epigrammi:

Autoepitafio
Isola mia nutrice fu Tiro, Gadara mi generò,
antica patria fra le genti di Siria.
Fui caro alle Muse, nacqui da Eucrates, io Meleagro
che un tempo corsi a gara con le Grazie di Menippo.*
Se sono siriano, perchè ti stupisci? Il mondo, o viandante,
è la nostra patria**, un solo Chaos ha generato tutti i mortali.
Grave d'anni ho inciso queste parole prima di giungere a morte
perchè chi ha per vicina la vecchiaia è prossimo ad Ade.
Ma tu rivolgi il saluto al vecchio ciarliero
e possa tu pure giungere a una vecchiezza ciarliera.

*Menippo di Gadara (III sec. a.C.) fu filosofo e predicatore cinico. Compose le "Grazie" o "Cariti" in tredici libri, opera di divulgazione della predicazione popolare cinica, in forma di prosimetro (ossia una mescolanza di prosa e versi nota con il nome di "satira menippea", ripresa a Roma da Varrone).
**Atteggiamento cosmopolita, proprio di chi si sentiva partecipe alla "paideìa" greca.

Nella prospettiva cosmopolita tipica dell'ellenismo, acquista rilievo la definizione di Gàdara come "attica patria fra le genti di Siria", cioè erede culturale di Atene.

Fiori sulla chioma di Eliodora
Intreccerò le bianche
violacciocche, intreccerò il narcisso
delicato coi mirti,
intreccerò i gigli che sorridono
ed il croco soave
ed il cupo giacinto,
e intreccerò le rose
che amano l'amore, perchè sopra
le tempie d'Eliodora
dai riccioli stillanti di profumo
la mia corona copra fiore a fiore
l'onda della sua chioma.


Gli epigrammi di Meleagro, questo poeta siro, rimasto estraneo ai grandi eventi della storia contemporanea, eventi dominati dalla grandezza di Roma, sono gli antecedenti dell'elegia latina dell'età augustea, di Tibullo, di Properzio, di Ovidio. Anche nell'epigramma di Meleagro, come nei poeti latini che pure furono di tanto più grandi di lui, l'amore fu l'unico tema veramente sentito, l'unica esperienza esistenziale giudicata realmente appetibile, l'amore nel suo aspetto ambiguo di passione e di gioco, di vita e di arte, di godimento e di amarezza, di tumulto sensuale e di arguzia maliziosa.

Zenofila vince i fiori
Fiorisce il garofano, fiorisce il narciso assetato di pioggia,
sulle colline si distendono i gigli fioriti.
Fiorisce l'anice d'amore, Zenofila, dolce rosa di Peithò
un fiore splendido tra gli altri fiori.
Prati, perchè ridete scrollando le chiome screziate?
E' inutile: la fanciulla vince le ghirlande odorose.


Zenofila è un'altra delle fanciulle del "demi-monde" ellenistico amate dal poeta, forse dopo la morte di Eliodora. "Nei distici di Meleagro la gioia visiva trabocca nel felice abbandono con cui il poeta si ferma a contemplare le corolle variopinte dei fioriti giardini di Tiro. Tuttavia sentire che quella vaga rappresentazione vale solo ad annucniare, come il fiorito cammino di Matelda nel canto dantesco, l'apparizione femminile che è al centro della poesia." (L.A.Stella, "Cinque poeti dell'Antologia Palatina")

Eliodora, anima della mia anima
Dentro, dentro il mio cuore, proprio Eros
ha dato forma a Eliodora che dolce
mi parla, anima della mia anima.


Distici che nella loro brevità e nell'essenzialità dell'espressione, così ricca di sentire moderno, ricordano il linguaggio amoroso di Catullo e degli elegiaci latini.

La tazza e la bocca di Zenofila
Dolce si rallegra la tazza. Dice
che ha toccato la bocca di cicala
di Zenòfila, amante dell'amore.
Come è fortunata! Oh se ora Zenòfila,
bocca su bocca,
se bevesse d'un fiato la mia anima.


Simposio ed eros erano congiunti intimamente fin dalla lirica arcaica, ma l'atteggiamento di Meleagro è così diverso: questo poeta decadente sa cogliere certe inquietudini della sua età così ricca di fermenti.

La voluttà dei ricordi
Per Timo, per i suoi riccioli amati
e la bella chioma, per l'odorosa
pelle di Demo che porta via il sonno,
per i dolci giochi amorosi di Ilia,
e per la lampada insonne che vide
infinite orge, l'ultimo respiro
mi resta sulle labbra, Eros. Se vuoi
anche questo, parla e io te lo darò.


Di tutti i poeti greci, Meleagro è "il primo in cui si scorge una moderna sentimentalità dei ricordi [...] Nessun altro poeta prima di lui s'abbandonò alla voluttà languida di ricordare un ricciolo, il profumo d'una stanza, una babbuccia, e sentire in quelle piccole, umili cose la medesima ebbrezza di rievocazione ardente che in un corpo magnifico, nel riso luminoso d'uno sguardo" (E.Bignone, "L'epigramma greco")

Alla cicala
Tu sonora cicala,
ubriaca di rugiada,
intoni solitaria un canto agreste;
chiusa in alto tra le foglie, dal bruno
corpo con le tenui zampe dentate,
vibri un suono di lira. Canta un nuovo
inno alle Ninfe degli alberi, un canto
pieno di gioia, che risponda a Pan,
perchè fuggendo Eros io m'abbandoni
qui al sonno meridiano
sotto l'ombra d'un platano.


"Alla cicala canora, prediletta dalla poesia greca da Esiodo ad Aristofane, il poeta fermo ad ascoltarne la canzone solitaria nel silenzio di un meriggio estivo chiede un canto sereno per assopirsi e trovare scampo all'amore. L'ombra di quel pensiero dominante, che annuvola l'ultimo distico, ci fa parer d'improvviso immensamente lontani tutti i modelli classici e contemporanei". (L.A.Stella, "Cinque poeti dell'Antologia Palatina").

In morte di Eliodora
Attraverso la terra anche sotterra
giù all'Ade t'offro in dono, o Eliodora,
queste lacrime mie, lacrime amare,
quello che resta ormai del nostro amore,
e sopra il tuo sepolcro
onorato e compianto
io ne verso il libame,
ricordo dell'affetto e del desìo.
Ahi, misero, e ti chiamo,
misero Meleagro, te che amata
mi sei tra i morti ancora, ed è l'omaggio,
vano omaggio che rendo all'Acheronte.
Ohimè, dov'è il virgulto che fu d'ogni mia brama
termine e segno? L'ha rapito Ade,
Ade me l'ha rapito,
e disfatto ha la polvere il suo fiore.
E tu, o Terra, che dài
ad ogni creatura il nutrimento,
dolce tra le tue braccia, te ne supplico,
o madre,
costei che lascia così largo pianto,
accoglila e radducila al tuo seno.


Questo epigramma in morte di Eliodora è il vertice dell'arte di Meleagro. Per la morte della donna "Meleagro scrisse la sua più famosa composizione, nella quale viene alla luce, col motivo dell'amore che sopravvive nel ricordo alla morte, un pathos nuovo e intenso che ha fatto pensare a Catullo, ad onta dello stile enfatico e ridondante nelle sue iterazioni verbali e concettuali". (E.Degani, "L'epigramma").
Il motivo dell'amore che sopravvive alla morte è centrale, per esempio, anche nell'elegia di Platone per la morte di Cinzia.

Il fuoco sotto la cenere
Se dimentichi il male o se lo fuggi,
ed Eros ti trova e ti prende, subito
ti mette nuovamente alla tortura.


Eros è un avversario temibile, un demone che divora l'anima, sempre in aggguato. Anzi: proprio allorchè la fiamma sembra estinta bisogna a maggior ragione osservare prudenza: l'incendio cova sotto la cenere, sempre pronto a divampare di nuovo.
 
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