| Alcuni epigrammi:
Autoepitafio Isola mia nutrice fu Tiro, Gadara mi generò, antica patria fra le genti di Siria. Fui caro alle Muse, nacqui da Eucrates, io Meleagro che un tempo corsi a gara con le Grazie di Menippo.* Se sono siriano, perchè ti stupisci? Il mondo, o viandante, è la nostra patria**, un solo Chaos ha generato tutti i mortali. Grave d'anni ho inciso queste parole prima di giungere a morte perchè chi ha per vicina la vecchiaia è prossimo ad Ade. Ma tu rivolgi il saluto al vecchio ciarliero e possa tu pure giungere a una vecchiezza ciarliera. *Menippo di Gadara (III sec. a.C.) fu filosofo e predicatore cinico. Compose le "Grazie" o "Cariti" in tredici libri, opera di divulgazione della predicazione popolare cinica, in forma di prosimetro (ossia una mescolanza di prosa e versi nota con il nome di "satira menippea", ripresa a Roma da Varrone). **Atteggiamento cosmopolita, proprio di chi si sentiva partecipe alla "paideìa" greca.
Nella prospettiva cosmopolita tipica dell'ellenismo, acquista rilievo la definizione di Gàdara come "attica patria fra le genti di Siria", cioè erede culturale di Atene.
Fiori sulla chioma di Eliodora Intreccerò le bianche violacciocche, intreccerò il narcisso delicato coi mirti, intreccerò i gigli che sorridono ed il croco soave ed il cupo giacinto, e intreccerò le rose che amano l'amore, perchè sopra le tempie d'Eliodora dai riccioli stillanti di profumo la mia corona copra fiore a fiore l'onda della sua chioma.
Gli epigrammi di Meleagro, questo poeta siro, rimasto estraneo ai grandi eventi della storia contemporanea, eventi dominati dalla grandezza di Roma, sono gli antecedenti dell'elegia latina dell'età augustea, di Tibullo, di Properzio, di Ovidio. Anche nell'epigramma di Meleagro, come nei poeti latini che pure furono di tanto più grandi di lui, l'amore fu l'unico tema veramente sentito, l'unica esperienza esistenziale giudicata realmente appetibile, l'amore nel suo aspetto ambiguo di passione e di gioco, di vita e di arte, di godimento e di amarezza, di tumulto sensuale e di arguzia maliziosa.
Zenofila vince i fiori Fiorisce il garofano, fiorisce il narciso assetato di pioggia, sulle colline si distendono i gigli fioriti. Fiorisce l'anice d'amore, Zenofila, dolce rosa di Peithò un fiore splendido tra gli altri fiori. Prati, perchè ridete scrollando le chiome screziate? E' inutile: la fanciulla vince le ghirlande odorose.
Zenofila è un'altra delle fanciulle del "demi-monde" ellenistico amate dal poeta, forse dopo la morte di Eliodora. "Nei distici di Meleagro la gioia visiva trabocca nel felice abbandono con cui il poeta si ferma a contemplare le corolle variopinte dei fioriti giardini di Tiro. Tuttavia sentire che quella vaga rappresentazione vale solo ad annucniare, come il fiorito cammino di Matelda nel canto dantesco, l'apparizione femminile che è al centro della poesia." (L.A.Stella, "Cinque poeti dell'Antologia Palatina")
Eliodora, anima della mia anima Dentro, dentro il mio cuore, proprio Eros ha dato forma a Eliodora che dolce mi parla, anima della mia anima.
Distici che nella loro brevità e nell'essenzialità dell'espressione, così ricca di sentire moderno, ricordano il linguaggio amoroso di Catullo e degli elegiaci latini.
La tazza e la bocca di Zenofila Dolce si rallegra la tazza. Dice che ha toccato la bocca di cicala di Zenòfila, amante dell'amore. Come è fortunata! Oh se ora Zenòfila, bocca su bocca, se bevesse d'un fiato la mia anima.
Simposio ed eros erano congiunti intimamente fin dalla lirica arcaica, ma l'atteggiamento di Meleagro è così diverso: questo poeta decadente sa cogliere certe inquietudini della sua età così ricca di fermenti.
La voluttà dei ricordi Per Timo, per i suoi riccioli amati e la bella chioma, per l'odorosa pelle di Demo che porta via il sonno, per i dolci giochi amorosi di Ilia, e per la lampada insonne che vide infinite orge, l'ultimo respiro mi resta sulle labbra, Eros. Se vuoi anche questo, parla e io te lo darò.
Di tutti i poeti greci, Meleagro è "il primo in cui si scorge una moderna sentimentalità dei ricordi [...] Nessun altro poeta prima di lui s'abbandonò alla voluttà languida di ricordare un ricciolo, il profumo d'una stanza, una babbuccia, e sentire in quelle piccole, umili cose la medesima ebbrezza di rievocazione ardente che in un corpo magnifico, nel riso luminoso d'uno sguardo" (E.Bignone, "L'epigramma greco")
Alla cicala Tu sonora cicala, ubriaca di rugiada, intoni solitaria un canto agreste; chiusa in alto tra le foglie, dal bruno corpo con le tenui zampe dentate, vibri un suono di lira. Canta un nuovo inno alle Ninfe degli alberi, un canto pieno di gioia, che risponda a Pan, perchè fuggendo Eros io m'abbandoni qui al sonno meridiano sotto l'ombra d'un platano.
"Alla cicala canora, prediletta dalla poesia greca da Esiodo ad Aristofane, il poeta fermo ad ascoltarne la canzone solitaria nel silenzio di un meriggio estivo chiede un canto sereno per assopirsi e trovare scampo all'amore. L'ombra di quel pensiero dominante, che annuvola l'ultimo distico, ci fa parer d'improvviso immensamente lontani tutti i modelli classici e contemporanei". (L.A.Stella, "Cinque poeti dell'Antologia Palatina").
In morte di Eliodora Attraverso la terra anche sotterra giù all'Ade t'offro in dono, o Eliodora, queste lacrime mie, lacrime amare, quello che resta ormai del nostro amore, e sopra il tuo sepolcro onorato e compianto io ne verso il libame, ricordo dell'affetto e del desìo. Ahi, misero, e ti chiamo, misero Meleagro, te che amata mi sei tra i morti ancora, ed è l'omaggio, vano omaggio che rendo all'Acheronte. Ohimè, dov'è il virgulto che fu d'ogni mia brama termine e segno? L'ha rapito Ade, Ade me l'ha rapito, e disfatto ha la polvere il suo fiore. E tu, o Terra, che dài ad ogni creatura il nutrimento, dolce tra le tue braccia, te ne supplico, o madre, costei che lascia così largo pianto, accoglila e radducila al tuo seno.
Questo epigramma in morte di Eliodora è il vertice dell'arte di Meleagro. Per la morte della donna "Meleagro scrisse la sua più famosa composizione, nella quale viene alla luce, col motivo dell'amore che sopravvive nel ricordo alla morte, un pathos nuovo e intenso che ha fatto pensare a Catullo, ad onta dello stile enfatico e ridondante nelle sue iterazioni verbali e concettuali". (E.Degani, "L'epigramma"). Il motivo dell'amore che sopravvive alla morte è centrale, per esempio, anche nell'elegia di Platone per la morte di Cinzia.
Il fuoco sotto la cenere Se dimentichi il male o se lo fuggi, ed Eros ti trova e ti prende, subito ti mette nuovamente alla tortura.
Eros è un avversario temibile, un demone che divora l'anima, sempre in aggguato. Anzi: proprio allorchè la fiamma sembra estinta bisogna a maggior ragione osservare prudenza: l'incendio cova sotto la cenere, sempre pronto a divampare di nuovo.
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