Filodemo di Gàdara, Epigrammista del tardo ellenismo (II-I secolo a.C.)

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MAguSS
view post Posted on 1/9/2005, 20:24




Anche Filodemo (Philòdemos), come Meleagro, nacque a Gàdara intorno al 110 a.C. Fu filosofo epicureo e solo marginalmente autore di epigrammi. Recatosi a ROma,capitale ormai di una grande potenza mediterranea, vi ottenne la protezione di un personaggio assai importante della "nobilitas" (nobiltà) repubblicana, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare e console nel 58, di simpatie epicuree. Da allora il poeta visse quasi sempre tra Roma e la Campania, nella villa pisoniana di Ercolano. I papiri Ercolanesi della cosiddetta "villa dei Pisoni" ci hanno trasmesso molti frammenti piuttosto lacunosi dei suoi testi filosofici, custoditi nella biblioteca della villa rimasta sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. I testi filodemei finora pubblicati hanno rivelato come il cliente dei Pisoni, pur nella fedeltà alla dottrina del maestro, introdusse aspetti nuovi e ricchi di interesse nella trattazione dei temi di retorica, poetica, etica. Le opere di maggiore interesse letterario sono la "Retorica" e il quarto libro dello scritto "Sui poemi". Altro saggio importante è quello "Sulla morte". Durante il soggiorno in Italia, Filodemo istituì un cenacolo epicureo che esercitò una notevole influenza anche sui grandi poeti romani della tarda repubblica, Orazio soprattutto, ma anche Virgilio, frequentatore della scuola dell'epicureo Sirone in Campania.
Della produzione poetica di Filodemo conserviamo una trentina di epigrammi grazie alla raccolta della "Corona" di Filippo di Tessalonica (vedi la sezione della storiografia ellenistica). Filodemo si rivela poeta di grande vigore, più elegante e conciso di Meleagro, il cui dettato è talvolta enfatico e lambiccato. Anche come poeta, il filosofo di Gàdara non violò l'ortodossia epicurea, contrassegnata da un forte pregiudizio antipoetico, perchè, secondo i canoni della dottrina, compose "facile versus", di contenuto leggero, fonte di un innocuo piacere, compatibile con l' "atarassìa" del saggio. Nei versi del poeta epicureo, che evita ogni troppo diretta partecipazione e coinvolgimento emotivo nei trattati, emergono toni arguti e di blanda ironia, e non mancano nitide evocazioni di donne, mai troppo esigenti o intrattabili, colte nella loro intimità alla fiamma della lucerna o illuminate dalla luna in splendidi "notturni"; spiccano inoltre tratti di sana frugalità nell'invito a cene modeste e, soprattutto, note di sobria malinconia che si accompagnano a un invito conviviale o all'ascolto, oltre la morte, di una dolce voce di donna. Filodemo non fu dunque solo un abile artigiano della parola, ma un poeta vero, dal dettato limpido e sobrio.
 
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MAguSS
view post Posted on 1/9/2005, 20:40




Alcuni epigrammi:

Invito a cena rivolto a Pisone
Verso le quattro, domani, nell'umile nido t'invita
per la cena del venti*, anniversaria
caro Pisone**, un amico diletto alle Muse; in assenza
di tettine di scrofe e di buon Chio,
vi troverai genuini compagni, e accenti v'udrai
più dolci che al paese dei Feaci***.
E se mai tu rivolga gli sguardi, Pisone, su noi,
l'umile festa diverrà più ricca.

*Ogni anno i seguaci di Epicuro partecipavano a un banchetto il 20 del mese di Gamelione (gennaio-febbraio) in memoria del loro maestro, che era nato in quel giorno. Un incontro conviviale meno importante si ripeteva ogni mese.
**Potente nobile romano, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, la cui figlia Calpurnia fu la terza moglie di Cesare.
***Alla corte di Alcinoo, re dei Feaci.

Il biglietto d'invito a cena a Pisone è ispirato alla "frugalitas" epicurea che ispirò, sull'esempio di Filodemo, l'invito di Orazio a Mecenate, e di Catullo all'amico Fabullo.

Filodemo, l'amante di Demo
Ho amato una Demo di Pafo: nulla
di strano. E ancora una Demo di Samo:
nulla di strano. E terza fu una Demo
di Nasso: e questo non è più uno scherzo.
Quarta una Demo di Argo. Filodemo
mi dissero le Moire, perchè brucio
sempre per una Demo nell'amore.


Scherzoso "divertimento" con cui il poeta etimologizza argutamente il proprio nome ("phìlos"=amore, e "dèmos", che significa anche "popolo").

La luce della Luna sul corpo di Callìstio
Notturna bicorne appari, Selene
amica delle veglie, appari entrando
dalle finestre spalancate e illumina
la dorata Callìstio. Può una Dèa
guardare senza invidia
ciò che fanno gli amanti. Tu Selene
stimi felici noi due; ma lo so,
per Endimione bruciò anche il tuo cuore.


Tratto felice questa preghiera alla Luna perchè illumini, attraverso la finestra, il bel corpo di Callìstio.

Mimo interiore
Amavo. E chi non ama? Ho fatto bagordi. E chi non li ha fatti?
Sono impazzito: ma non è forse per colpa di un Dio?
Alla malora: ormai i capelli si affrettano ad imbiancarsi,
messaggeri della stagione che porta saggezza.
Quando era tempo di giocare ho giocato, ora che non è più tempo,
cercherò di seguire pensieri più nobili.


Proponimento di cambiar vita, iscritto in una cornice mimetica, di autoriflessione in tono giocoso.

La dolce Xanto e il letto di pietra
Candida Xanto che stilli profumi,
tu, dal volto di Musa, soave immagine
degli Amori alati, torna a suonare
dolce per me con le mani odorose.
In un letto di pietra solitario,
murato da sassi, io devo un eterno
sonno dormire. Canta
ancora per me, piccola Xanto:
sì, sì, questo dolce canto! Lo senti
usuraio? E solo, in un letto di pietra
dovrai posare, misero, per sempre*.

*Gli ultimi due versi paiono interpolati da un lettore per inserire nel testo una conclusione di tipo moraleggiante.

Si noti la "malinconica dolcezza di questo epigramma, dove il poeta protende di là dalla vita, nell'impietrato letto, l'ascolto di una languida voce di donna: è davvero incongruo pensare, come fu fatto, all' "Ecclesiaste" o al "Tristano": si tratta solo di una canzone; ma è una canzone triste, di pura intonazione, che esercita un fascino penetrante." (F.M.Pontani, "Letteratura greca")
 
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