Il vegetarianesimo nella spiritualità dell'antichità classica

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caio giulio cesare
view post Posted on 18/7/2006, 22:16




Il vegetarianesimo nella spiritualità dell'antichità classica occidentale

L'esigenza di astenersi da determinati cibi per favorire l'esperienza spirituale è ricorrente in tutte le tradizioni religiose antiche, fatto ben noto ai padri della chiesa che si fecero difensori dell'astinenza dalla carne. I trattati in difesa di questa pratica, tanto di epoca patristica quanto medioevale, non mancano mai di citare gli esempi dei filosofi dell'antichità, dei gimnosofisti indiani o degli asceti di altre dottrine. Il vescovo Ambrogio, ricordando che il filosofo stoico Epitteto criticava il cibo smodato per schierarsi in favore di una vita continente, riflette che se la filosofia invitava i filosofi antichi a quel comportamento, la chiesa non può che fare la stessa cosa. San Girolamo, confutando l'eretico Gioviniano che rifiutava l'astinenza dalla carne, riporta gli esempi di Pitagora, Socrate e Antistene che la praticarono e la raccomandarono. A detta di Origene, era divenuto celebre tra i cristiani il motto del filosofo scettico Sesto Empirico astieniti e sopporta. Clemente Alessandrino si appoggia sull'autorità dei pitagorici per affermare che mangiare carne e bere vino è proprio delle bestie più che dell'uomo.
Si potrebbero ricordare molti altri casi tratti dalla letteratura patristica o medioevale (tra i tanti Sant'Alberto Magno e San Bonaventura da Bagnoreggio, altri accenni in calce), che testimoniano come si tratti di un vero e proprio "stile" quello di argomentare a favore dell'astinenza a partire dalle esperienze che hanno preceduto l'avvento del Cristianesimo.

Apriamo questo excursus sulle motivazioni all'astinenza nella tradizione greco-romana, senza pretendere di offrirne una trattazione esauriente.


L'ascetismo dei filosofi

Talvolta si ritiene che i filosofi antichi fossero semplici studiosi interessati a problemi astratti, ma se li consideriamo nella totalità della loro figura, ci accorgiamo che erano soprattutto maestri di vita. L'adesione a una scuola filosofica comportava una disciplina globale che includeva tutti gli aspetti della vita, compreso il modo di cibarsi, dormire e vestirsi. L'obiettivo di queste scuole e di questi maestri era quello di trasformare la vita dei discepoli, insegnando ad andare oltre il mondo delle apparenze per entrare in rapporto con le presenze divine che animano e guidano la realtà. Se il fine della filosofia era accorgersi di queste presenze divine ed entrare in familiarità con loro, si trattava perciò di scuole di spiritualità, con tutto il relativo bagaglio di insegnamenti ascetici.
Si capisce così perchè la questione del vegetarianesimo sia stata argomento di discussione nell'antichità e abbia portato alla composizione di trattati specifici. Senza calarci in un'analisi approfondita percorreremo alcune scuole filosofiche cercando soprattutto di rilevare le motivazioni addotte per la pratica dell'astinenza dalle carni.


I pitagorici

Uno dei fenomeni più interessanti del mondo spirituale greco è il pitagorismo. La leggenda attribuisce a Pitagora, figura di grande fascino, doti straordinarie, ma soprattutto un grande equilibrio e una calma inimitabile. Le sue scuole erano vere e proprie comunità religiose che producevano schiere di sapienti, dotti e guide spirituali.
Nelle comunità pitagoriche si seguiva la dieta tipica delle antiche scuole ascetiche; ci si asteneva dal vino, da tutte le carni animali, dal pesce e dai cibi come uova, funghi e aglio, perchè ritenuti di ostacolo alla vigilanza e alla purezza del pensiero. La temperanza faceva escludere a Pitagora e ai suoi discepoli le sostanze che producono flatulenze (la carne in genere), che possono eccitare o causare infiammazioni (soprattutto la carne di maiale), e gli faceva approvare i cibi contrari, quelli cioè che rinfrescano, che rendono stabile lo stato dell'organismo ed esercitano un'azione astringente (limoni e arance). Utile e benefico, e alla base dell'alimentazione pitagorica, era il miglio.
Le prescrizioni di Pitagora riguardo alla disciplina alimentare ci vengono così descritte da Giamblico: "Ammoniva inoltre di astenersi da tutto ciò che ostacola la facoltà profetica o la purezza dell'anima, la castità, la temperanza e le virtù. A coloro che, tra i filosofi, erano i più dotati di capacità speculativa ed erano quindi pervenuti alle vette supreme della speculazione, proibiva assolutamente i cibi superflui e inappropriati; raccomandava di non mangiare animali nè bere vino, nè mai immolare animali agli dèi, né di arrecare loro il minimo danno e di rispettare con massimo scrupolo le norme della giustizia anche nei loro riguardi".
Il fine dell'ascesi alimentare è quello di acquisire familiarità con la vita divina, senza escludere il rispetto per il proprio corpo o per altre forme d ivita come quelle animali. Pitagora pensava infatti che occorre rifiutare tutto ciò che è estraneo agli dèi, in quanto ci impedisce di intrattenere con essi un rapporto di familiarità. È quindi evidente che la motivazione profonda dell'astinenza dei pitagorici era la spiritualizzazione dell'uomo.
L'influsso pitagorico si fece sentire per secoli, ricomparendo in forma esplicita nelle scuole neopitagoriche che sopravvissero fino ai primi secoli dell'era cristiana conservando le antiche prescrizioni alimentari, che alcune scuole arrivarono persino ad accentuare.


L'orfismo

Il pitagorismo, secondo il parere prevalente degli studiosi, è collegato all'orfismo con cui presenta molte affinità, tra le quali le pratiche ascetiche e il rifiuto del sacrificio cruento.
Il modo di vivere orfico ci viene descritto da Platone nelle Leggi. L'ateniese che in questo dialogo discute con Clinia afferma che gli orfici non sacrificavano animali agli dèi e consideravano sacrifici puri solo frutti cosparsi di miele e focacce. Gli orfici, continua il dialogo platonico, si astenevano dalle carni considerando empio il mangiarle e si atenevano dall'insozzare col sangue gli altari degli dèi. La dieta orfica era composta principalmentedi erbaggi, miele, latte e cacio. Empedocle, diffusore delle concezioni orfiche, e ritenuto da Porfirio un garante della dottrina vegetariana, vietava di mangiare carne e di uccidere animali. Le pratiche ascetichedell'orfismo non avevano quindi solo un valore rituale, o legato al momento dell'iniziazione, ma assurgevano a un'importanza morale in quanto parte integrante di un modo di vivere non circoscritto alla sola iniziazione, ma esteso a tutta la vita. La dottrina orfica è un'ansia di elevazione spirituale, uno sforzo di liberazione dai limiti della vita terrena per arrivare a una comunicazione più piena e profonda con la vita divina.
Le fonti e gli studi da noi consultati sembrano infatti contraddire la convinzione diffusa, secondo cui la motivazione principale del vegetarianesimo orfico, e di quello dell'antichità classica in genere, fosse la credenza che negli animali potessero reincarnarsi anime umane. Se pensiamo che un sostenitore della trasmigrazione come Empedocle riteneva che le anime potessero reincarnarsi tanto negli animali quanto nelle piante, cade l'ipotesi che il divieto di mangiare carne riguardasse il pericolo di cibarsi di animali che potessero ospitare un'anima umana, dato che lo stesso rischio si correva ugualmente assimilando vegetali. La motivazione principale ritorna così la ricerca della purezza che ci consente di condividere la purezza divina. la purezza era la condizione indispensabile per avvicinarsi alla vita divina sulla base dell'uniformità del comportamento, perchè se gli dèi non mangiano carne neppure gli uomini debbono mangiarla.
Come per il pitagorismo, la motivazione principale dell'astinenza orfica è la spiritualizzazione dell'uomo, tema portante della storiadi questa pratica ascetica.


I misteri di Eleusi

Un altro importante fenomeno religioso greco è rappresentato dall'iniziazione di Eleusi. Si trattava di un rito che introduceva i giovani a una visione religiosa della realtà. Aveva lo scopo di creare una mentalità, di educare a una visione del mondo. Per Aristotele era questa una delle causedella grandezza della Grecia, infatti affermava che finchè ci fosse stata Eleusi sarebbe stata grande la Grecia.
Per prepararsi a ricevere l'iniziazione occorreva un periodo purificatorio accompagnato da digiuni e pratiche ascetiche. Si seguiva una dieta particolare in cui gli iniziandi si astenevano da trigle, pollame, melagrane e fave. Stando a San Girolamo l'astensione riguardava qualsiasi tipo di carne, giacchè a Eleusi vigevano tre precetti: onorare gli antenati, venerare gli dèi e non cibarsi di carni.
Nel caso dei misteri eleusini, le astinenze erano limitate al periodo preparatorio all'iniziazione e non divenivano necessariamente parte dello stile di vita. L'intento di queste pratiche era purificatorio, affinchèsi fosse bn preparati per affrontare l'esperienza religiosa.


Diogene e i cinici

La scuola cinica non proponeva solo un apparato di dottrine, ma un vero e proprio stile di vita ascetico. Il personaggiopiù noto di questa scuola è il filosofo Diogene. In tutto cercava di vincersi e raggiungere l'impassibilità: lo si vedeva stare immobile sotto gli scrosci di pioggia o rotolarsi sulla sabbia ardente. Il cibo abituale di Diogene era composto di miglio, lupini, ceci, lenticchie, focaccia, frutta fresca e secca: cibi che costituirono sempre la dieta classica dei filosofi cinici. Nella sua confutazione a Gioviniano, San Girolamo cita l'esempio dei cinici e di Diogene in particolare.


L'ascetismo stoico

Gli stoici sono divenuti celebri per la massima astieniti e sopporta, diffusa nella cristianità nella versione abstine et sustine. L'ascesi, il dominio di sé, l'autocontrollo, l'indifferenza per le cose indifferenti erano i riferimenti ideali del loro stile di vita. La dieta dei primi stoici doveva avere tra i suoi piatti principali le lenticchie. Crisippo affermava che bulbi e lenticchie sono paragonabili all'ambrosia, e gli dobbiamo la curiosa affermazione secondo cui l'aria è il nostro primo alimento.
Musonio Rufo, filosofo stoico del I secolo d.C. e maestro di Epitteto, insisteva sulla necessità di tenere sempre associata la filosofia alla disciplina ascetica. Aveva una particolare attenzione per la dieta e affermava che il cibo semplice va preferito a quello elaborato, quello omogeneo a quello che non lo è. Omogeneo all'uomo è quello che si ricava dalle piante (non solo dai cereali), poi quello che ci forniscono gli animali senza ucciderli. I cibi più adatti sonno quelli che si possono assumere come si trovano, senza intervento del fuoco per cucinarli: frutta, alcuni vegetali, latte, formaggio e miele. Ma, continua Musonio, vanno bene anche i cereali e gli ortaggi che hanno bisogno del fuoco.
Ritiene l'alimentazione a base di carne troppo pesante, perchè impedisce il noein e il fronein. L'esalazione che emana dalla carne è torbida e ottenebra la psiche, e questa è la ragione per cui quelli che se ne cibano sono più pigri nella riflessione (dianoia). Qui è forse utile una breve spiegazione, perchè si tratta di un'affermazione molto interessante. il termine greco fronein deriva dal nome del diaframma (fren), che nell'antichità era considerato sede di esperienze psichiche e spirituali. La fronesis è la facoltà in grado di aiutare l'uomo nel conflitto tra il bene e il male, favorendo il dominio del bene sull'anima (si sta quindi facendo riferimento non alla sapienza speculativa, ma all'intelligenza intesa come padronanza e autocontrollo). Lo stesso per la facoltà del noein che, tradotto in genere con 'intelletto', in questo caso sarebbe da intendersi come l'organo della contemplazione, più che come strumento di conoscenza razionale.
Ancora una volta la motivazione principale dell'astinenza sembra essere in riferimento alla spiritualizzazione. Mausonio Rufo continua affermando che l'uomo, l'essere più simile agli dèi, deve nutrirsi nel modo più simile a loro. Poichè agli dèi bastano le esalazioni (thumoi) promanati dalla terra e dall'acqua, noi dovremmo nutrirci di cibo il più leggero e puro possibile. In tal modo anche la nostra anima sarà pura e 'asciutta' (xerà). La capacità dell'astinenza da cibi grossolani di rendere l'anima asciutta venne ripresa dai padri della chiesa, che coniarono il termine tecnico xerofagia, letteralmente il 'mangiare asciutto'.
Purtroppo, lamenta Musonio, l'uomo ha finito in molti casi per nutrirsi peggio degli animali, che sono privi di ragione.
Lucio Anneo Seneca, esponente latino della Stoà, ha dedicato al nostro argomento parte della sua corrispondenza con Lucilio. Scrive che sin da giovane si era appassionato alle dottrine di Pitagora e che il filosofo Sozione gli aveva spiegato i motivi per cui si erano astenuti dalla carne Pitagora e Sestio. Sestio sosteneva semplicemente che l'uomo non ha bisogno di versare sangue per cibarsi, e che la crudeltà può diventare un'abitudine. Pitagora si appoggiava invece alla dottrina della metempsicosi, secondo la quale uccidendo un animale potremmo uccidere senza saperlo il nostro stesso padre. Il suggerimento di Sozione, continua Seneca, era l'astensione del giudizio: se la dottrina della trasmigrazione delle anime è vera, l'astinenza dalle carni salva da un delitto; se è falsa,ci rende comunque sobri. Condividendo questo pensiero, Seneca iniziò a non cibarsi di carne per un anno, alla fine del quale l'abitudine non solo gli era diventata facile, ma 'piacevole', e inoltre si sentiva l'anima più 'agile'.
Nel pensiero di Sestio, la dottrina dell'astinenza sembrerebbe ridursi a una norma di tipo morale, seguendo l'idea che l'abitudine alla crudeltà dell'uccisione finisce per deformare la mente. Riguardo a Pitagora, Seneca si limita a chiamare in causa la dottrina della trasmigrazione, espressa in modo esplicito. Particolarmente significativa, più che l'esposizione degli insegnamenti di Sozione, è la conclusione dello stesso Seneca basata sulla propria esperienza: il raggiungimento della 'agilità' dell'anima.
Grazie a un'altra testimonianza di Seneca, sappiamo che gli stoici escludevano anche l'uso del vino e dei funghi. Seneca però, non fu fedele a questa regola per tutta la vita, e cedette nel periodo in cui l'imperatore minacciava di persecuzioni i seguaci di alcune scuole filosofiche che propugnavano l'astinenza dalla carne.
Altri discepoli del neostoico Sozione furono Quinto Sestio e Sestio Nigro, che al tempo di Augusto continuavano a insegnare ai discepoli l'astensione perpetua dalla carne e condannavano, per l'inutile crudeltà, i giochi del circo.


I neoplatonici

La scuola neoplatonica si caratterizza come un centro di formazione religiosa in modo ancora più accentuato delle precedenti. Le basi erano già state poste dai filosofi alessandrini di ispirazione platonica alla cui scuola si formò Plutarco, compositore di un'opera, Sul consumo di carni, in difesa della tradizione vegetariana.
Caposcuola dei neoplatonici è Plotino, che fu discepolo di Ammonio Sacca (maestro anche del cristiano Origene), da alcuni ritenuto originario dell'India. Potrebbe essere un affasciante campo di indagine l'eventuale influenza delle tradizioni indiane, ripetutamente citate dai greci, sull'ascetismo dei loro filosofi, ma si tratta di un campo ancora inesplorato. Basti pensare che la comparsa del vegetarianesimo in Grecia si situa all'epoca dei mitici saggi taumaturgi (grosso modo intorno al VI secolo a.C.), molti dei quali non erano greci.
Il discepolo e biografo di Plotino, Porfirio, ci ha lasciato un vero e proprio trattato sull'astinenza dalle carni, testo a cui si sarebbe abbondantemente ispirato San Girolamo nel suo Adversus Jovinianum. Porfirio si vide costretto a scrivere il suo trattato mosso dall'indignazione, poichè già ai suoi tempi cominciava ad essere messo in dubbio un così nobile precetto, e accusa chi lo rifiutava, a causa di 'miserabili sofismi', di non aver vergogna di abusare di se stesso e di svilire un dogma antico e caro agli dèi.
Il fine del filosofo, afferma Porfirio, è la contemplazione dell'essere, che porta all'unione naturale tra il contemplante e il contemplato. Qusta unione non è frutto di una evoluzione, quanto piuttosto di un 'ritorno', perchè in origine l'anima umana era in una condizione di beatitudine, ma la condizione beata delle origini è stata perduta a causa di una caduta nella realtà materiale. Metà del cammino spirituale è il ritorno allo stato originario di 'essenza intellettuale' seguendo il percorso inverso, rinunciando cioè a tutto ciò che è materiale e mortale ed elevandoci verso le realtà spirituali: andando cioè in direzione opposta alla nostra caduta nel mondo visibile. La rinuncia a tutto ciò che è materiale esige l'allontanamento dalla sensazione e dall'immaginazione, ma anche dall'irrazionalità che le accompagna e dalle passioni che generano.
Uno dei primi passi verso questo obiettivo è la scelta di un regime di vita frugale che scluda l'uso della carne e di cibi ricercati che eccitano i sensi impedendo l'interiorizzazione, poichè l'eccitazione sensoriale è paragonabile a un chiodo che 'fissa' l'anima al corpo, inchiodandola appunto al piacere corporeo.
Secondo Porfirio, una vera e propria 'Iliade' di mali deriva da un regime di vita non frugale: eccesso di ricchezze, sovrabbondanza di servitori, pletora di stoviglie, stato di sonnolenza, malattie virulente e frequenti, ricorso ai medici, eccitazione sessuale, esalazioni spesse, abbondanza di escrementi, spinta smodata all'attività. Una dieta frugale e priva di carne, non solo libera l'uomo da tutti questi mali, ma acquista il logismos. Qusta parola, che dapprima indicava genericamente la riflessione e il ragionamento, nella letteratura cristiana acquista una connotazione fortemente negativa e va a designare i pensieri prodotti dalla parte inferiore della mente, diversi dalla facoltà contemplativa che è il nous. Con il termine logismoi si finì per designare tutti quei pensieri che ostacolano la contemplazione e che, interferendo con essa, si deve impedire che giungano al cuore.
Si può quindi ipotizzare che Porfirio, come in seguito gli autori spirituali cristiani, attribuisce all'astinenza dalla carne la capacità di inibire, o almeno di rallentare, la produzione di pensieri negativi che impediscono l'attività contemplativa, che invece è la più importante. Allora, secondo la bella immagine di Porfirio, "l'occhio interiore è libero e lontano dai vapori e dalle mareggiate corporali, d è al riparo nel porto".
Il culmine storico della filosofia neoplatonica è costituito da Proclo, dopo il quale comincia un inarrestabile declino. Proclo influenzò sensibilmente alcuni autori cristiani, in particolare Dionigi lo Pseudoaeropagita e Meister Eckhart. Al meglio della tradizione filosofica greca, anche Proclo insegnava nelle sue comunità una disciplina che facilitava l'ascesa per gradi nella vita spirituale. Un aspetto della sua disciplina che rispettava in modo assoluto, sostenuto in questo dal suo mastro Siriano, era l'astinenza dalle carni.


Gli antichi egizi

Il fascisno dell'Egitto e la sua influenza si fecero sentire presso molti filosofi greci che lo ritenevano uno dei più grandi centri di cultura e di spiritualità del mondo antico. In Egitto si recarono a prendere insegnamenti Solone, Pitagora, Talete, Licurgo, Platone, Erodoto, Apuleio, Plutarco e Giamblico. Nella cristianità, San Girolamo e Sant'Alberto Magno hanno voluto ricordare in difesa dell'astinenza anche la tradizione egizia.
In Egitto i sacerdoti si astenevano da carne e vino durante tutto il periodo di servizio alla divinità, e in altri periodi non consumavano nemmeno pane, olio, uova e latte, o si limitavano a prenderne modeste quantità.
Plutarco affermache i sacerdoti si astenevano perfino dal pesce, in quanto non è un cibo necessario e neppure naturale. A sostegno di questa abitudine alimentare cita Omero, che non fa mangiare pesce né ai raffinati feaci né agli abitanti di Itaca. Le motivazioni dell'astinenza egizia, spiega Plutarco, sono ancora una volta in vista della spiritualizzaizione dell'uomo: l'astinenza fa si che il corpo sia un involucro agile e leggero dell'anima, affinchè la pesantezza della parte mortale non opprima la parte divina. Secondo lo stoico Cheremone, citato da Porfirio, in Egitto si praticava l'astinenza per rendere più limpida la mente sia per controllare le passioni.
Oltre ai sacerdoti, erano tenuti all'astinenza da determinati cibi anche i devoti della dea Iside, che dovevano rinunciare al pane, alla carne di porco e alle cipolle. Secondo Apuleio, invece, si astenevano dalle carni in genere e dal vino.
L'ascesi alimentare era praticata da gruppi di mistici egiziani che si riunivano intorno ai templi di Serapide. il fatto che San Pacomio, di origini pagane, abbia abitato nel primo periodo del suo ritiro in un tempio abbandonato dedicatoa Serapide, ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare un'influenza delle pratiche ascetiche egizie sul monachesimo pacomiano. Sembra che, in Egitto, pane, acqua e sale costituissero l'alimentazione dei più poveri, e che di questi alimentisi nutrissero i monaci del serapeo vicino a Menfi.
Ulteriori notizie sull'astinenza in Egitto sono riportate da Apuleio, che ci descrive con linguaggio allegorico la sua esperienza in quella terra. Lo scrittore latino narra che prima dell'iniziazione dovette seguire una dieta rigorosamente vegetariana e non bere vino, e quando venne giudicato pronto potè affrontare la sua più grande esperienza, cioè varcare i confini della morte, vedere un sole di un bagliore accecante nel mezzo della morte, e accedere agli dèi inferi e superi.


Il ritorno allo stato originario

Potremmo sintetizzare così le motivazioni fondamentali del vegetarianesimo antico:

- il regime vegetariano è benefico per l'anima; impedisce al corpo di agitare l'anima con le sue esigenze e i suoi piaceri; dissolve il legame tra il corpo e l'anima spiritualizzando l'uomo
- la trasmigrazione delle anime, che possono passare dagli uomini agli animali, fa del consumo e dell'uccisione degli animali un atto criminosoe orribile
- è ingiusto uccidere gli animali, che possiedono un'anima della stessa natura della nostra (anche se sipuò ritenere questa simpatia per gli animali una giustificazione tardiva del vegetarianesimo)
- infine, il consumo di carne introduce nell'uomo spiriti malvagi e le anime degli animali uccisi.

A queste motivazioni si deve aggiungere il desiderio di ritornare alla beatitudine di uno stato originario in cui l'uomo viveva in armonia con il mondo divino. Le tradizioni antiche parlano di quattro età di cui la più antica, chiamata età dell'oro o di Saturno, era la più vicina agli dèi. In quest'era gli uomini non si nutrivano di carne ma solo dei frutti della terra, e non erano necessari né culto né sacrificio perchè si era in continuo rapporto con gli dèi.
La decadenza dell'età del bronzo è significativamente caratterizzata da una popolazione empia che non mangiava pane. Per qusta ragione l'alimntazione vegetariana poteva favorire il ritorno all'anelato stato originario di familiarità con gli dèi, in cui lo stato divino o la condizione di vicinanza alla divinità era simboleggiata dalla commensalità, dal mangiare lo stesso cibo.
In generale ci pare che l'idea chiave della dottrina classica sull'astinenza sia l'aspirazione alla spiritualizzazione dell'uomo, anche se associata ad altre convinzioni di vario genere.



Fonti
Ambrogio "lettera alla chiesa di vercelli"
Apuleio "Le metamorfosi"
Clemente Alessandrino "Pedagogo"
Diogene Laerzio "Vite dei filosofi"
Empedocle "Frammenti"
Epitteto "Frammenti"
Esiodo "Le opere e i giorni"
Giamblico "Vita pitagorica"
Ierocle "Commento ai versi aurei pitagorici"
Lucio Seneca "Lettere a Lucilio"
Musonio Rufo "Frammenti"
Platone "Leggi"
Plutarco "Sul consumo di carne"
Plutarco "Iside e Osiride"
Porfirio "Dell'astinenza dagli animali"

Studi
Ascoli E.D. Spiritualità precristiana
Bouffartigue J., intr. a PORPHYRE, Dell'astinenza
Gobillot J. Le origini del monachesimo cristiano
Hadot P Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino 1988
Rossi L. Maestri di vita, Torino 1993
 
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view post Posted on 30/3/2018, 10:35

Pater

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Siete a conoscenza che Rtzinger in un suo intervento disse che :" l'ultima cena fu fatta in rito esseno"?
 
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